Nardo Pajella, Autoprofilo


Autoprofilo

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Autoprofilo

“Amo negli uomini tre cose. L'intelligenza, la dirittura morale,il coraggio delle proprie azioni.

Disprezzo negli uomini tre cose. La volgarità, il materialismo, la vigliaccheria.”

“Ho sempre cercato di migliorarmi giorno per giorno nella dura lotta quotidiana per la vita e di migliorare se possibile, chi il caso mi mise vicino. E' dura questa scuola ma necessaria se nella vita si vuole costruire qualcosa.

Non ho nessuna pretesa di essere pittore anche se questa fu sempre la passione iniziale della mia vita nell'arte.

Dipingo per completare la mia educazione artistica e per un bisogno spirituale.

La mia meta rimane la scultura. La pittura è, per dirla con Vincenzo Costantini, la mia passione colorata e per sfollare lo spirito dalle immagini che tumultuano e si accapigliano lasciandomi il panorama della scultura nella sua austerità limpido di forme e di volumi.

Ho nel mondo buoni amici e buone amicizie e non ho fatto nulla di eccezionale per crearmele. Solo sono sempre stato sincero e coerente.

Non ho mai lasciato avvelenare lo spirito dal risentimento, perché per me senso umano della vita significa soprattutto infinita capacità di perdonare.

Certo non si può voler bene a tutti e quanto meno avere simpatie per tutti, tuttavia in mancanza di una corrispondenza di sensi amichevoli si può assumere una tollerante indifferenza. E' inevitabile che l'amicizia influisca sul corpo come sullo spirito. Dubito che sia possibile odiare, qualcuno ed essere completamente sani.

I medici stessi dicono che la bontà è tonico all'organismo. Io conosco uno che fu sempre superiore ad ogni risentimento meschino e posso dire con assoluta sicurezza che in ottantun anni di vita non ha mai avuto bisogno di un medico.

Questo è mio padre, il quale mi ha insegnato la capacità di perdonare attraverso una vita vissuta onestamente e dignitosamente nel duro lavoro di ogni giorno.

Giunto nella piena estate della vita chiedo all'arte, a questa mia amante esigente, una parola di conforto, a Dio una parola di perdono.”

Nardo Pajella


OMAGGIO A MIO PADRE

Il Signore dei poveri, è per me l'uomo che ho più amato e venerato sulla terra: mio padre, perché la sua ricchezza stava nello spirito e non nella borsa. Egli era nato artista e come tale anche se rimasto allo stato grezzo, aveva un'anima votata alle cose superiori della vita, i fermenti a quelle cose che stanno più vicino alle stelle che alle zolle, ovvero aveva la grande luce delle prime e i profumi delle seconde.

Per questo, quale omaggio alla sua memoria offro oggi alle genti della sua e mia terra questa modesta raccolta di opere.

Omaggio dico, alla memoria di un uomo che ha amato la sua terra e gli uomini della sua terra.

Ricchi e poveri hanno stimato ed amato questo uomo che aveva nel cuore il sentimento della bontà nel senso Più alto e nobile della parola.

Egli passava per la via di ritorno dal lavoro con le scarpe,ed il vestire sporco di calcina, ma il saluto era per tutti, anche peri bimbi che gli volevano bene come ad un padre comune.

Io che porto nel cuore questo suo alto senso di poesia nella vita, .questo suo alto rispetto civile, questa sua luce che eleva gli spiriti degli uomini nella grande luce di Dio sento che egli mi fu padre e maestro anche nel campo dell'arte.

So per esperienza che un'opera d'arte è sempre un atto di bontà ed egli questa grande cosa me la donava a piene mani, anche quando nei bisogni della vita quotidiana era duro un alto di bontà, e per l'appunto il gesto assurgeva ad un fatto eroico.

Egli visse povero, lavorando tutta una vita, visse francescanamente chiedendo solo il frutto delle sue mani indurite dalla calcina: alla sua fronte bruciata dal sole e dal sudore, ma sempre distesa alla serenità del dovere compiuto.

Mai egli picchiò alle porte dove aveva lavorato, attese sempre che lo chiamassero per pagargli il frutto del suo sudore, e qualcheduno ancora oggi che è morto, deve esaudire a questo dovere. Per gli amici aveva sempre una parola confortatrice ed un bicchiere serenatore. Con i più poveri di lui usava l'ospitalità sacra dei padri ,:antichi. Avvicinava con uguale placidezza ricchi e poveri, e la sua famiglia stava sopra ogni ceto, nella semplice dignità che le veniva dall'avere per capo un tale povero.

Tra le pareti della modesta casa dove è nato e dove io sono nato, dove sono nati i miei fratelli e dove visse mia madre, vi è un antico tavolo, a quel tavolo quando il desco era caldo, tanti poveri si son seduti... e per dirla col poeta Salvatore Corrias «sorella povertà era la nostra santa...».

Ti conosco: fosti la compagna

dei miei primi anni allor che nella casa

scarso era il cibo e parca era la vesta,

allor che delle cose non godute

si smorzava il desio da se medesmo

e nulla ci abbandonava fuor che il nostro

empito puro di raggiante amore.

Ti riconosco: fosti la vicina quasi non vista dell'età migliore:

la giovinezza mia candida e buona

infiorata dei sogni che perdei

come se in dita fragili li avessi.

Ti riconosco: fosti la mia guida

sicura e fida nell'ascesa lenta

che seppe l'opra delle notti insonni.

A questa scuola io sono cresciuto a questa scuola ho imparato a conoscere dalle radici alla cima la vecchia quercia cui ancora oggi chiedo ristoro e luce pel mio cammino d'artista.

Queste poche sculture, queste poche pitture, questi pochi disegni, siano accetti dalla gente della mia terra come premessa all'opera mia di artista e di uomo, che è l'opera di mio padre.

Ai più umili, ai più poveri, ai più diseredati, a quelli cui non fu data la possibilità di studiare, d'istruirsi e che non sono i meno intelligenti, sia di conforto la prova di un fatto di fede artistica che, è poi un atto di bontà umana a cristiana.

Un grande musicista scrivendo ad un amico, diceva « l'umanità ha più bisogno di uomini buoni che di uomini grandi ». Questo musicista era Gaetano Donizetti.

Mio padre ha chiuso la sua giornata terrena con questa parola d'amore.

Nardo Pajella


Mostra antologica 1927-1967 di Nardo Pajella

presso gli "Amici dell'Arte" alla Galleria d'Arte Moderna "Ricci Oddi" di Piacenza

UN DEBITO DI GRATITUDINE E D'ONORE

E' la prima volta che vengo a Piacenza con una personale: ho tanto desiderato questa mostra nella mia città, avendo con Piacenza un debito di gratitudine e d'onore.

Piacenza in anni lontani mi ha offerto un aiuto insostituibile con la Borsa di studio "Remo Biaggi". Senza questo aiuto non avrei potuto continuare e portare in porto gli studi all'Accademia di Brera.

Mio padre aveva fatto, con l'aiuto del fratello Fiorenzo, tutto quanto avevano potuto fare due cuori nobili e generosi. Chiedere di più avrebbe voluto dire sottoporli ad un lavoro inumano.

Avevo portato in porto il Liceo Artistico con il loro aiuto e sacrificio: l'Accademia era un sogno lontano.

Ma sulla grande strada della vita, tu incontri un grande numero di persone indifferenti e solo pochissimi ti stendono la mano e ti offrono un cuore amico. E qui, in questa tanto attesa manifestazione voglio fare atto di testimonianza al fratello, più che amico, Luciano Richetti del quale Piacenza deve andare orgogliosa sia come uomo che come Artista.

Con la sua particolare onestà, con quella serenità di cuore e di spirito che lo distinguono come artista, mi consigliò come un fratello; allora eravamo studenti, lui all'Accademia, io al Liceo e pochissimi Piacentini frequentavano gli studenti d'arte. Ci si incontrava alla latteria Pirovini a consumare il modesto pasto di mezzogiorno e in quegli incontri mi accennava alla Borsa di Studio "Remo Biaggi"...

« Tenta la Scultura Pajellino... Ce la farai... Concorri alla Borsa di studio di Piacenza, fra poco io avrò finito Pittura e la porta sarà aperta per la scultura ».

Concorsi e la Deputazione Provinciale di Piacenza mi assegnò all'Unanimità la Palma della Vittoria.

Era Preside allora, il Cav. Carlo Archieri di Monticelli d'Ongina che qui voglio ricordare con imperitura riconoscenza.

Così continuai gli studi superiori di scultura a Brera sotto la guida del grande scultore Adolfo Wildt.

Data da allora il mio debito d'onore, e dopo quarant'anni di attività professionale e dopo tante battaglie, poche vittorie e molte sconfitte, eccomi fin mente a pagare il mio tributo alla mia città. Dico mia città, anche se sono cittadino arioso, perché è qui che io imparai i primi passi negli studi d'arte all'Is tuto Gazzola sotto la paterna guida dell'indimenticabile maestro che fu l'umilissimo pittore Francesco Ghittoni.

Per tre anni frequentai questo Istituto.

Venivo da S. Nazzaro in bicicletta, una vecchia e pesante bicicletta donna, pedalando tra gelo, nebbia e neve d'inverno, fango e pioggia, sole e p vere d'estate. Allora le strade non erano asfaltate.

Anni lontani, tempi duri, una michetta e una mela in tasca, sul manubrio un rotolo di carta e nel cuore tanti sogni, tante speranze, e mi sembrava di essere il padrone del mondo.

Mio padre, il Più grande amico della mia vita, quando il tempo era impossibile, mi dava qualche liretta e allora prendevo quel trenino che andava Cremona a Piacenza e viceversa, funzionando a carbone, quando c'era, a legna se mancava il primo e ci riempiva gli occhi di fuliggine di cenere.

Tempi lontani, ripeto, ma profondamente segnati nel cuore che non può dimenticare, con le sue immagini di giovinezza, volti cari che ormai non so più e che un raggio di sole ne scalda il ricordo che svanisce nel tempo.

Al Gazzola con la guida paterna del maestro Ghittoni incontrai tanti cari amici: il caro Marenghi al quale sono legato da affetto fraterno, unito alla sua cara mamma, donna dal grande cuore che tante volte offerse la sua mensa alla mia dura giornata. Paladini, Antonini, Groppi, Luchini, Albertelli e altri Piacentini, Sajani di Roncaglia, Gandolfi di Castel S. Giovanni, Boledi di Carpaneto, Sagagli di Castell'Arquato i cui volti sbiadiscono come le immagini fotografiche.

Anni di sogni, di inenarrabili sacrifici, di illusioni, di delusioni che hanno temprato alla battaglia della vita e dell'Arte superando prove durissime, affrontate sempre con un atto di fede a Dio, nel profondo significato di un segno di croce e di una preghiera.

Pajella


"Coi grappoli d'uva sono nato un Settembre, in un piccolo borgo, ed ho sempre vissuto in riva al Po, tra le piante.

Ho giocato coi grilli, coi maggiolini, che mi hanno visto poi, affondare le mani nella terra, quella umida sponda del fiume, e tracciare grandi figure.

All'alba, ogni giorno, ho guardato la striscia d'argento del grande fiume colla sua acqua mi sono bagnato gli occhi, ed ho succhiato la linfa generosa di mille germogli.

Coricato nell'erba alta dei boschi ho ascoltato la parola melodiosa dell'usignolo che, lontano su un ramo, credeva di cantare solo per sé.

Ma poi un giorno, nell'incanto di un sogno ho guardato alto nel cielo... lontano un grande bagliore rossigno che brillava come il richiamo, come una promessa... quella promessa è stata mantenuta e l'usignolo su un ramo vicino ha ripreso a cantare una nuova canzone che l'animo mio capisce: più bella e più dolce e la canta per me."

Nardo Pajella