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Nardo Pajella, Scultore, Pittore |
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Ognuno di voi, o per sentito dire, o per aver letto, o per averlo appreso, dirò così, dall'anonima voce della nostra contrada, sa che il Nostro è arrivato giusto giusto al Duomo di Milano. E la mia, che vuol essere una anticipazione per i giovanissimi e per quelli che verranno, afferma che questo artista non ha scelto certamente la via più comoda, né quella tortuosa, né altra protezionistica o comunque "radiocomandata"; vi è giunto facendosi largo coraggiosamente ed ostinatamente con la sola forza della sua arte personalissima, ed esclusivamente in virtù di un lavoro tenacissimo. Arte intima quindi, meditata, sofferta. Arte squisitamente italiana, regolata sul metro del modernismo sensato e perciò accettabile; fortemente pervasa da quella sofferenza che la vita gli ha imposto nel durissimo clima di due guerre combattute e nell'ancora più duro cimento di questo rabbioso ultimo dopo guerra. Pajella ha lavorato per se stesso, e in se stesso ha maturato il frutto geniale, che lo ha presentato alla ribalta del mondo artistico e lo ha affermato fra gli eletti, che hanno avuto il privilegio ed il merito di fissarsi nel tempo e nel Tempio di Milano. E' una grande vittoria la sua e una meritata convalida nel campo difficilissimo dell'Arte. Non ho veste per tracciarne una recensione critica e ciò che affermo è la sola constatazione dell'ambito culturale; ma mi è onestamente permesso di rilevare che la strada percorsa dal Pajella è quella riservata ai pochi predestinati, che sanno salire al vertice sanguinando appassionatamente per quel purissimo ideale che hanno sognato e inseguito dall'infanzia. E Pajella è arrivato perché è nato artista e pur sanguinando perché le circostanze e le calamità dell'epoca lo hanno travolto e perché le correnti del tempo parevano volessero negarlo e soppiantarlo, ha saputo imporre la sua Arte dopo di averla macerata nell'intimità di un suo nobilissimo tormento. Ma il vertice dell'Arte non ha limiti, a Pajella è tuttora in ascesa. Oggi s'è fermato in un punto indefinibile del Duomo di Milano che non gli impedisce, col tempo e nel tempo, di guardare superbamente alla Madonnina. Arrigo Gottardi - 1951
Da allora mi fu caro di seguire l'artista in tutto ciò che faceva. Lo vidi più e più volte partire sereno per interminabili tempi di servizio militare, e lo vidi ritornare portando fasci di disegni, e udendo discorsi di una saggezza affettuosa e tranquilla. Non appena gli era possibile si rimetteva a lavorare. Quella ricchezza spirituale che il Maestro aveva riconosciuto in lui aumentava sempre e lo metteva a contatto con le cose, permettendogli di impossessarsene con la massima pienezza, di ricostruirle nelle opere di pittura e di scultura in un modo sempre inedito, originale. Nulla dello stilismo wildiano, se non forse in qualche lavoro della prima giovinezza, rimase legato ai suoi modi espressivi. Le forme che si studiò d'interpretare gli concedettero sempre nuovi modi di intendere ciò che le faceva apparire a lui piene di una commozione nella quale passavano tutte le varietà della grazia che nasce sotto la luce, entro l'atmosfera, per rivelare le realtà della vita. Ogni sua scultura seppe, così, la rivelazione delle bellezze che egli aveva veduto o intravveduto. Visi di bambini, dove par giuocare la rapidità della macchia, hanno la modellazione morbida, piena. Altri rivelano la loro intatta freschezza attraverso accenni sommari che assumono subito evidenza e forza. Nudi d'uomini e di donne vibrano in gesti dei quali è intesa la portata attraverso un'intelligenza della forma che s'apre intera, immediata. Nelle composizioni, i ritmi compositivi si collegano, e si allargano ponendo i loro piani nell'atmosfera con glorificazioni delle masse che prendono significati intensi. Nessuna delle sculture è turbata dall'obbedienza e ricerche di novità. L'assenza, invece, di ogni concessione alle mode in corso, tenendo pure le forme imprime ad esse un sentimento che è nelle aspirazioni comuni di ciò che l'arte ancora può dare con l'incanto di quell'insieme di rapporti psicologici e spirituali. di forme vibranti dai quali sono commossi tanto gli artisti come coloro che ne contemplano le opere. Pittore, Nardo Pajella, se pure non dimentica le unità coloristiche delle quali dota le sue masse plastiche, si sente più libero e cerca istintivamente di muoversi in ambiti decorativi dove le composizioni siano concluse, ed ogni elemento viva nella sua realtà coloristica. Il disegno regge tanto la scultura quanto il colore nei dipinti. Il disegno che nasce sotto la punta della penna o della matita del Pajella è sempre di un'eleganza istintiva che fonde l'aspirazione a guadagnare una terza dimensione propria agli scultori con la lineare purezza, adombrata di chiari e di scuri di cui si servono i pittori. L'artista mantiene sempre ai suoi tratti quel senso di itinerario attorno alle forme che stupiva il suo maestro, così affezionato ai suoi linearismi stilistici; li arricchisce di elementi. Sia che si serva della stecca o dello scalpello, del pennello della penna o della matita, Nardo Pajella la sua unità interiore la raccoglie in una senti mentalità che è sempre limpida e virile. Ciò gli impedisce di lasciare nelle sue opere qualche parte meno espressi va, perché in ognuna tutto concorre a spiegare lo stato d'animo con il quale ha lavorato. Non invano tanta parte della sua opera è legata a temi religiosi. Il vasto campo di esperienze che egli ha esplorato lo mise a contatto con infinite tristezze e con infinite miserie che gli apersero i sensi della Provvidenza. La su,intelligenza delle forme, della materia è degna della nobiltà che è impressa dal la Fede. Giorgio Nicodemi - 1949
Ottenuta la borsa di studio "Remo Biaggi", nel 1921 frequentò il Liceo Artistico di Brera e poi l'Accademia di Belle Arti sotto la guida di Wildt ed ivi si diplomò nel 1930. Esperienze che lasciarono un segno profondo nella sua vita furono la guerra d'Africa e la seconda guerra mondiale alla quale partecipò nel corpo degli Alpini della "Julia". Da questi eventi riportò un grandissimo numero di disegni tracciati su fogli quadrettati di taccuino con mozziconi di matita e pezzi di carbone dei fuochi dei bivacchi. Si sposò nel 1938 con Margherita Maderna che fu sempre una compagna di grande intelligenza e gli fu vicina con grandissimo affetto. Da allora visse ed operò a Seveso in provincia di Milano. Insegnò dapprima alla Scuola Serale dell'Accademia di Brera e poi "figura" al Liceo Artistico di Brera. Clara Pajella - 1988
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